Milano, 8 dicembre 2015 - 07:39

L’autodifesa del giovane Erdogan
«Costruisco uffici, non vendo petrolio»

Accusato dal Cremlino di esportare il greggio dell’Isis, il secondogenito che studia a Bologna dice: «Facciamo navi-cisterne, ma non le gestiamo noi»

di Viviana Mazza, nostra inviata a Bologna

(Reuters) (Reuters)
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«Non so cosa devo fare per sistemare le cose. Il portavoce del Cremlino ha detto che il figlio del presidente Erdogan esporta il petrolio dell’Isis con le navi dal porto di Ceyhan fino al Giappone e così sono apparso in tutti i giornali del mondo. Ma io non ho nulla a che fare con le spedizioni navali né con Ceyhan. E soprattutto l’Isis è un nemico del mio Paese, l’Isis è una vergogna perché mette la mia religione in cattiva luce, non rappresentano l’Islam e non li considero nemmeno musulmani».

Bilal Erdogan, 35 anni, secondogenito del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ci incontra alla Johns Hopkins University di Bologna dove si trova dallo scorso settembre. E’ venuto con la moglie e i figli di 8 e 2 anni per finire il suo dottorato in Relazioni Internazionali, iniziato nel 2006. Afferma di aver avuto problemi di salute su quali non vuole scendere in dettagli, dopo essere stato accusato nella cosiddetta Tangentopoli turca del 2013.

La BMZ Ltd non si occupa di spedizioni navali?
«BMZ è una compagnia di costruzioni. Costruiamo uffici a Istanbul. Abbiamo un contratto per costruire imbarcazioni per un imprenditore in Russia, autocisterne da fiume, ma non le operiamo. Non facciamo affari nel Mediterraneo, in Siria o in Iraq».

Forse allora si riferiscono alla compagnia di suo fratello Burak?
«Lui ha un cargo ma non può essere usato per il petrolio».

La Turchia vende petrolio curdo: non è possibile che venda, anche inconsapevolmente, petrolio dell’Isis, visto che i trafficanti lo hanno fatto arrivare anche là?
«La Turchia vende petrolio curdo, è vero. Ma secondo la mappa russa sembrerebbe che i curdi siriani facciano arrivare petrolio dell’Isis alla raffineria Tupras della famiglia Koc. La famiglia Koc dice di comprare petrolio solo dalle fonti documentate. Chiedete a loro di provare che non lavorano con l’Isis, non è una raffineria del governo».

I curdi siriani dell’YPG sono i principali alleati Usa in questa guerra.
«C’è un grosso problema qui. Se un gruppo terroristico ti aiuta a combattere un altro gruppo terroristico, che cosa succederà dopo? Pensi che questo gruppo terroristico abbandonerà i vecchi metodi e si trasformerà in un gruppo di attivisti pacifisti?»

Perché la Turchia non sigilla il confine?
«Il traffico di petrolio è da sempre una caratteristica di quell’area, perché è più costoso in Turchia che in Siria. Lo fanno passare in piccole tubature, con i muli… ma negli ultimi tre anni la Turchia è stata più rigida perché non vogliamo che l’Isis si arricchisca col petrolio. Ci sono 900 chilometri di confine, la Turchia sta facendo del suo meglio, ma è difficile. Avevamo chiesto la creazione di una zona cuscinetto: sarebbe stato più facile controllare il confine e anche accogliere i rifugiati. Ma sfortunatamente non siamo stati ascoltati».

La Russia è contraria alla no-fly zone.
«Chissà perché…. Non voglio dare l’idea che l’ostilità tra Turchia e Russia sia positiva. Siamo partner e vicini da tempo, penso che questa questione dovrebbe essere risolta, ma non penso che succederà se ognuno segue i propri interessi».

Pensa che ci sarà una escalation delle ostilità Turchia-Russia?
«Se chiudi i canali del dialogo non migliora niente. Quello che è accaduto con il jet russo è spiacevole ma dovremmo concentrarci sui veri problemi, cioè l’Isis e il futuro della Siria».

La Russia ha fatto accuse esplicite contro Ankara, ma molti pensano da tempo che la Turchia sia più dura con i curdi che con l’Isis.

«Sono un dottorando in Relazioni internazionali, e parlo in questo ruolo, non come rappresentante del mio Paese. Ma il fatto è che fino a due settimane fa eravamo buoni alleati della Russia. Se la Russia era tanto attiva contro l’Isis perché non ci hanno accusati prima? E adesso all’improvviso accusano la Turchia di essere pro-Isis. Siamo un membro della Nato. Se la Turchia stesse aiutando l’Isis, non pensate che la Nato lo saprebbe? Quello che facciamo sul terreno è sempre in coordinamento con i nostri partner e alleati. Invece non sappiamo cosa stia facendo la Russia, e agiscono non necessariamente per colpire l’Isis».

Alcuni pensano che la Turchia potrebbe fare di più ma non vuole che i curdi si rafforzino.
«E’ che noi combattiamo contro più gruppi terroristici, l’idea che i vostri terroristi sono giusti e i nostri sbagliati non è corretta. È per questo che abbiamo perso la guerra al terrore, perché ognuno ha i propri terroristi. La Turchia dice che il terrorismo non è solo religioso ma è anche nazionalista, i curdi hanno ucciso migliaia di persone negli ultimi 20-30 anni. Le strategie di negoziato con questi gruppi hanno fallito miseramente, ed è un peccato perché penso che i politici curdi e i miliziani sui monti non siano riusciti a trovare un terreno comune per mettere da parte le armi».

Se l’Isis è il nemico comune, allora è tempo di riavvicinarsi ad Assad? «Assad è nemico di chi? Se segui il petrolio di Isis, trovi Assad. Ora cerca di far soldi con il petrolio di Isis perché non ha altre fonti di introito ormai».

Assad sta conquistando terreno? Come finirà questa guerra?
«Non penso che stia conquistando terreno, se fosse possibile rimandare tutti i rifugiati e gli sfollati in Siria, quei 10 milioni di persone, e se tutti potessero tornare e votare, non sceglierebbero più Assad. Se questo succedesse, non sarebbe più al potere. Comunque deve esserci una soluzione politica, una transizione e nuove elezioni. Non possiamo sottoscrivere l’idea che la democrazia va bene solo se ci piace chi vince».

A parte il petrolio, nel 2013 lei fu accusato dal procuratore di Istanbul di aver pagato mazzette in cambio di un terreno ottenuto a prezzo di favore per la sua Fondazione Turgev. Ma il procuratore è stato rimosso e la polizia ha rifiutato di arrestarla.
«Alla fine ho risposto alle accuse con il nuovo procuratore. Nessuno della Tangentopoli turca è finito in prigione. Era un complotto del gruppo di Gülen, un tentato colpo di stato. Abbiamo aperto un procedimento contro chi ci ha accusato, un caso di 1500 pagine: il primo processo sarà a gennaio».

Prima dello scontro, il predicatore Gülen e suo padre erano amici alleati. Gülen ha aiutato suo padre a ottenere voti e in cambio ha messo i suoi uomini nel sistema giudiziario e nella polizia.
«Esatto. Negli anni 90, quand’ero alle superiori, mio padre era nel partito Refah (Benessere) ed era il sindaco di Istanbul. Ovviamente, veniamo dal movimento politico islamico e conoscevamo queste persone, i loro metodi, avevano approcci diversi rispetto a noi. Il partito Refah era chiaro nel dire che voleva una Turchia più conservatrice e in pace con le sue radici, la sua storia, la sua cultura e tradizioni. Loro invece volevano mostrare una faccia diversa, non volevano mai essere rappresentati come islamisti, noi pensavamo che non fossero trasparenti. Poi hanno infiltrato la polizia e il sistema giudiziario, con grande abilità. E’ come la P2 in Italia, ma moltiplicato per cento».

C’è un cablo di Wikileaks secondo cui la sua famiglia aveva nel 2010 otto conti in Svizzera; suo padre avrebbe detto che si trattava di doni per la sua festa di nozze e donazioni di un uomo d’affari che aveva pagato per l’istruzione sua e dei suoi fratelli.
«Non è vero. Non abbiamo alcun conto in Svizzera, mio padre non ha detto queste cose. I funzionari dell’ambasciata Usa hanno parlato con delle persone ma non c’è alcun fondamento. Confondono le cose. Per le nozze, in Turchia tradizionalmente si regalano delle piccole lire d’oro che vengono appese alle vesti degli sposi. Per i nostri studi io e le mie sorelle abbiamo ricevuto borse di studio da imprenditori turchi».

Qual è l’origine della sua ricchezza?
«Oltre alla compagnia Bmz, di cui sono azionista insieme ai due zii, ho cinque ristoranti a Istanbul».

Berlusconi è venuto al suo matrimonio nel 2003, era l’unico capo di stato? Sa che ha criticato suo padre dicendo che ha fatto passi indietro sulla democrazia?
«Non era l’unico capo di stato, c’era il premier albanese e al matrimonio di mia sorella il re di Giordania. Non posso credere che Berlusconi abbia detto questo, conosce mio padre. Se è vero, è un peccato, e ovviamente non è una buona lettura della politica turca».

Usa spesso il “noi”, quando parla del governo. A volte la pensa diversamente da suo padre?
«Non voglio usarlo, anche se mi identifico con mio padre. In molte cose posso avere idee diverse ma l’importante è che ci sono cose a cui tengo, che hanno a che fare con l’istruzione. Abbiamo 200 bambini in una scuola Montessori che è la migliore in Turchia. La mia fondazione promuove l’istruzione di duemila ragazze. E volete mettermi con Isis?».

Pensa sia stato giusto arrestare i giornalisti di Cumhurriyet per quello che hanno scritto?
«Hanno scritto che il governo turco aveva consegnato delle armi all’Isis. Vorrei sapere in quale Paese una cosa del genere verrebbe tollerata. Nel caso dei giornalisti possiamo discutere se sia meglio giudicarli senza metterli agli arresti, ma questi sono aspetti tecnici, cose decise dalla magistratura».

C’è chi dice che lei è scappato qui in Italia. Non le sembra strano essere qui mentre il suo Paese sotto attacco?
«Non ho pianificato questi eventi russi. Voglio stare nel mio Paese ma ho così tanti interessi umanitari che se sono in Turchia ho troppe distrazioni. Non è facile venire qui con due bambini che devono abituarsi al Paese e alla scuola. Ma è qui che posso concentrarmi, anche se tutte queste accuse lo rendono più difficile. Stamattina ho incontrato un avvocato perché ho letto sul giornale che qualcuno a Firenze mi ha accusato di riciclaggio di denaro».

Ha una scorta turca oltre che italiana?
«Le ho entrambe perché, quando abbiamo chiesto agli italiani, ci hanno dato un certo livello di protezione, però a quel punto il servizio di sicurezza presidenziale ha deciso di equiparare il livello. Non posso andare da nessuna parte senza scorta. E’ la prima volta che mi succede in Italia da quando ho iniziato a venire qui per i miei studi nel 2007».

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