Milano, 12 febbraio 2015 - 13:28

«Io, italiano che combatto come “foreign fighter” per l’Ucraina»

Francesco F. è tornato da poco in Piemonte dalla famiglia. Ma nell’ultimo anno è stato a combattere contro i separatisti nell’Est: «Non amo la guerra, lo faccio per ideologia»

di Ilaria Morani

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Francesco F. è tornato da poco in Italia, in Piemonte, dalla sua famiglia. Ma nell’ultimo anno è stato a combattere tra le fila ucraine dell’est del Paese. Rientra anche lui nel lungo elenco dei foreign fighters, ovvero chi, con passaporto italiano, parte per combattere in un paese straniero. Il decreto antiterrorismo presentato dal ministro Angelino Alfano è stato studiato dopo i fatti di Parigi proprio per arginare il fenomeno tipico dei gruppi terroristici, Isis in testa. Nel mirino ci sono dunque Siria e Iraq. Ma quelle non sono le uniche guerre che si combattono. C'è anche l'Ucraina.

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Ancora guerra e disperazione nell'Ucraina dell'Est


Francesco è continuamente al telefono per capire le mosse dei suoi compagni di battaglione, l’Azov: «Il 10 febbraio abbiamo allargato di 30 chilometri la zona da noi controllata intorno a Mariupol, spiega, conquistando tre piccole città senza nessuna copertura dell’esercito e un caccia russo è stato abbattuto». Se nel mirino del decreto ci sono gli appartenenti a gruppi terroristici «allora al momento posso stare tranquillo», racconta Francesco, militante nelle file dell’estrema destra, unitosi alla causa ucraina ai tempi di Maidan, all’inizio della rivoluzione. «Il nostro è un battaglione prima politico e poi militare, siamo contro il governo ucraino ma difendiamo la popolazione. Ma anche se la nostra ideologia è ferrea dipendiamo in qualche modo dal ministero della difesa ucraina e siamo uniti alla Guardia Nazionale: mi hanno messo “in regola” e sono al riparo anche dalle leggi internazionali, che però non difendono gli stranieri (almeno tre italiani) che combattono con i separatisti filorussi».


Francesco, partito dall’Italia come volontario, non è mai stato mercenario e la possibilità di combattere sotto la bandiera di un battaglione gli permette uno stipendio «di 200 dollari al mese, sigarette e cibo. Ma non l’alcol che è severamente vietato dal nostro regolamento».
«Non amo la guerra, sono al fronte solo per ideologia e perché ho iniziato una rivoluzione ed ora va portata a termine».

In che modo?
«Il nostro obiettivo non è il Donbas, ma Kiev. Anche i soldati ucraini non ne possono più di questa guerra, sono stati traditi dai loro superiori, continuano a morire, i russi ormai sono l’85% delle risorse tra i separatisti. Il Paese cerca una rivoluzione e per tutti è Kiev l’ultimo obiettivo».

Chi appoggia la causa insieme a te? Chi sono gli stranieri che combattono?
«Nel nostro battaglione ci sono 85 foreign fighters, tanti svedesi, tanti russi, ma anche francesi, slavi, sono 7 gli italiani. Noi siamo ufficiali, ma ce ne sono altri che non possono essere dichiarati».

Per quale motivo?
«Una parte dell’accordo di Minsk prevedeva di non accettare più uomini stranieri. Ogni settimana però arrivano almeno 100 nuove richieste di arruolamento e siamo già in 1.200. Le regole si possono aggirare. I filorussi non hanno di questi problemi, nulla per loro è dettato da leggi».

Conosci gli italiani che combattono sull’altro fronte?
«Alcuni di loro sì. E si muovono con lo stesso spirito che ha spinto me, quindi li rispetto e li aiuterei se fossero in difficoltà».

Come sei diventato un soldato?
«A Maidan lanciavamo pietre, sono partito come Black Man, ho cercato di entrare nel Pravy Sector (Settore Destro, ndr), ma in quel momento non volevano stranieri, nell’Azov invece hanno avuto l’intuizione di avere un corpo militare straniero. Ero un manager, ho una famiglia e hanno così deciso di usarmi anche per la loro propaganda. Prima con un microfono in mano, poi con fucile mi sono fatto strada. All’inizio ero l’unico italiano insieme a tre svedesi, poi sono arrivati anche altri stranieri».

Che significa propaganda?
«Vuol dire chiamare a raccolta la gente, fare capire che non spariamo perché amiamo la guerra ma perché serve una rivoluzione. Non uccidiamo civili, ma solo i nemici. E poi serve la mia faccia in televisione: ultimamente sono sempre invitato dalle televisioni russe, per loro sono il mostro e fanno a gara per intervistarmi».

Che rapporto avete con gli altri battaglioni?
«Dalla parte ucraina, al momento ce ne sono 38, solo tre però danno un reale contributo alla guerra. L’Azov non ama gli altri, non ci piace l’Aydar ad esempio, sono teppisti sanguinari e nemmeno il Dnipro 1, gestito da oligarchi. Siamo soldati politici, non amiamo i giochi di potere. L’ho già detto? Combattiamo per amore».

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