Milano, 30 novembre 2016 - 20:43

Il ministro Lavrov: «La Russia
è pronta a un nuovo disgelo
con gli Stati Uniti»|English version

Il ministro degli Esteri russo spiega come sia necessario superare la politica anti russa della presidenza Obama

Sergej Lavrov (LaPresse) Sergej Lavrov (LaPresse)
shadow

«Noi siamo pronti a percorrere la nostra parte di cammino per riportare i rapporti tra la Russia e gli Stati Uniti in una direzione stabile. Partiamo dal presupposto che nel mondo contemporaneo la tutela della stabilità strategica e della sicurezza e la soluzione efficace dei problemi chiave della modernità dipendano molto dai nostri due Paesi».Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov arriva oggi in Italia, per partecipare al Med2016, il forum sul Mediterraneo organizzato dalla Farnesina e dall’Ispi che si apre questo pomeriggio a Roma. In margine ai lavori, Lavrov avrà anche colloqui bilaterali con il capo della nostra diplomazia, Paolo Gentiloni. Alla vigilia del suo viaggio, il ministro russo ha concesso un’intervista esclusiva al nostro giornale.

E’ vero che avete dato una mano a Donald Trump nella campagna elettorale, come vi accusano i democratici americani?
«Sono stati i cittadini americani ad “aiutare” Donald Trump a diventare presidente con il voto dell’8 novembre. Come più volte dichiarato dal presidente Putin, noi non abbiamo mai cercato di influenzare la campagna elettorale poiché partiamo dal presupposto che si tratti di un affare interno degli Stati Uniti. Se qualcuno ha cercato di interferire, quelli sono gli alleati degli americani. Andatevi a rileggere quello che hanno detto e scritto di Trump molti leader europei prima del voto. Per quanto riguarda le favole sugli “hacker russi” e le altre accuse rivolte al nostro indirizzo, sono veramente venute a noia. È sintomatico che gli autori di tali insinuazioni che alla vigilia del voto hanno istigato le paranoie russofobe in USA, ora si siano chiusi nel più completo mutismo. Nessuna delle annunciate “prove” di ingerenza nel processo elettorale è mai stata presentata né alla comunità americana né a quella mondiale. Si conferma così ulteriormente che tutta questa storia viene dal mondo delle favole ed è stata messa in giro per obiettivi politici di corto respiro».

L’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti apre la strada ad un nuovo dialogo e a nuovi rapporti tra Mosca e Washington? «Abbiamo fiducia che la nuova Amministrazione non voglia ripetere gli errori commessi da quella uscente, che ha volutamente distrutto le relazioni russo-americane. Naturalmente abbiamo accolto positivamente la propensione alla cooperazione tra i nostri due paesi dimostrata da Trump durante la campagna elettorale. Per parte nostra, siamo sempre stati disponibili a costruire un onesto dialogo pragmatico con Washington su tutte le questioni dell’agenda bilaterale e globale sulla base del rispetto, della parità, della considerazione dei reciproci interessi e della non ingerenza negli affari interni. Il 14 novembre scorso il presidente Putin e il presidente eletto degli Stati Uniti hanno avuto la loro prima conversazione telefonica nell’ambito della quale hanno confermato la disponibilità a lavorare insieme per sbloccare la situazione di crisi in cui si trovano oggi i nostri rapporti e risolvere gli attuali problemi internazionali, ivi compreso il contrasto alla minaccia terroristica. Speriamo che la nascente squadra di politica estera del nuovo presidente faccia passi concreti in questa direzione e che dunque la collaborazione sia costruttiva. “Ci rendiamo conto che ripristinare la cooperazione a tutto campo tra Russia e USA è un obiettivo complesso. E che per superare le distruttive conseguenze della politica antirussa dell’Amministrazione Obama saranno necessari sforzi seri da entrambe le parti. Ma, come ha rilevato il presidente Putin, noi siamo pronti a percorrere la nostra parte di cammino per riportare i rapporti russo-americani in una direzione stabile. Partiamo dal presupposto che nel mondo contemporaneo la tutela della stabilità strategica e della sicurezza e la soluzione efficace dei problemi chiave della modernità dipendano molto dai nostri due paesi. Abbiamo inoltre le opportunità per incrementare la collaborazione reciprocamente vantaggiosa nel campo del commercio, degli investimenti, dell’innovazione e delle tecnologie. Siamo interessati ad ampliare gli scambi culturali e umanitari, i contatti tra le persone. Insomma, se ci sarà volontà reciproca, abbiamo tanto lavoro da fare».

Quali sono gli obiettivi della Russia in Siria?
«Fin dall’inizio della crisi siriana, la Russia ha sempre sostenuto e continua a sostenere una soluzione politico-diplomatica attraverso l’avvio di un dialogo inclusivo interno alla Siria. Noi commisuriamo tutte le nostre azioni al diritto internazionale. Durante le operazioni delle forze aerospaziali russe in Siria, condotte dietro richiesta ufficiale del governo legittimo di un paese membro dell’Onu, siamo riusciti a sferrare un duro colpo al terrorismo che si è profondamente radicato nel paese anche grazie ai massicci rinforzi giunti dall’estero. Noi comunque siamo sempre stati convinti che non sia possibile sciogliere il nodo siriano solo per via militare. Il nostro obiettivo principale è quello di fare in modo che i siriani abbiano di nuovo una prospettiva, la speranza di un futuro migliore in uno Stato libero e laico, dove tutti i gruppi etnici e confessionali della popolazione possano vivere in pace e armonia. I tentativi di imporre un’agenda estranea ai siriani hanno già provocato centinaia di migliaia di vittime e feriti, milioni di profughi e di emigranti temporanei, hanno fatto tornare il paese indietro di anni, distrutto le infrastrutture socio-economiche e introdotto nella società siriana elementi di spaccatura etnico-religiosa. Per risolvere tutti questi problemi, i siriani in autonomia, senza ingerenze esterne, devono mettersi d’accordo sulla forma dello Stato, la sua struttura politico-amministrativa e successivamente, con un percorso democratico, decidere chi governerà il paese. Ma prima di tutto è necessario garantire pace e sicurezza, liquidare il focolaio terrorista in Siria. Al momento intere zone rimangono nelle mani dei gruppi terroristici, quali Isis, Jabhat Al-Nusra, Fatah Al-Sham”. A questo proposito è estremamente necessario costituire un ampio fronte antiterrorismo, basato sul diritto internazionale universalmente riconosciuto, come ha proposto il presidente Putin già nel settembre dell’anno scorso. Parallelamente deve essere avviato un processo negoziale interno alla Siria, imperniato sul comunicato di Ginevra del 30 giugno 2012, sulla Risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e sulle decisioni del Gruppo Internazionale di sostegno per la Siria. L’inviato speciale per la Siria del Segretario Generale dell’Onu, Staffan de Mistura, che ha un chiaro e preciso mandato del Consiglio di Sicurezza, è chiamato a favorire più attivamente il raggiungimento di questo obiettivo. In più, noi diamo il nostro aiuto perché si creino condizioni favorevoli sul terreno, sostenendo il processo di “pacificazione locale” e svolgendo un importante lavoro con l’opposizione armata, attraverso il Centro di pacificazione delle parti in conflitto di Hmeymim, che opera attivamente sul campo per favorire il dialogo fra i vari gruppi. Lo voglio sottolineare ulteriormente: il conflitto siriano può essere ricomposto solo dai siriani stessi. Quindi ci appelliamo ancora una volta ai partner occidentali e regionali perché rinuncino a tentativi di ingegneria geopolitica nell’area, rispettino la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica Araba di Siria e favoriscano tutti insieme il raggiungimento dell’obiettivo principale: il ritorno della vita di questo Stato in un alveo pacifico».

Il presidente Putin ha detto più volte che la Russia non ha alcuna intenzione aggressiva verso i Paesi del fronte Est della Nato. Perché allora il vostro dispositivo militare nell’area viene continuamente rafforzato?
«Oggi assistiamo al più imponente incremento del potenziale militare dalla fine della “guerra fredda”, al rafforzamento della presenza e dell’infrastruttura della Nato nel suo fianco orientale, al fine di esercitare una pressione politico-militare sul nostro paese. Ai confini russi si svolgono esercitazioni dei paesi del blocco che hanno spesso carattere palesemente provocatorio. Con il pretesto della fantomatica “minaccia da est”, nei paesi dell’Europa Centrale e Orientale vengono stanziati mezzi pesanti e truppe americane, mentre compaiono nuovi elementi della struttura di comando dell’Alleanza. Tutte queste operazioni sono state approvate in luglio dal vertice della Nato a Varsavia, che in sostanza ha confermato una politica a lungo termine di ulteriore rafforzamento della sua componente militare. Sempre più netta si fa la sensazione che gli Usa e la Nato continuino scientemente a innalzare il livello della tensione. Queste misure si iscrivono nella pluriennale linea politica distruttiva condotta dall’Alleanza dell’Atlantico del Nord, che persegue il dominio politico-militare negli affari europei e mondiali e il contenimento della Russia. La Nato non ha mai smesso, neppure in tempi di rapporti migliori, di spingere la sua infrastruttura militare verso i confini russi, anche mediante le “tre ondate” di allargamento, ha svolto una forte attività nell’Europa orientale, si è inserita nei programmi antimissilistici degli USA, il cui vero destinatario, già prima che fosse risolta la questione del programma nucleare iraniano, non ha mai suscitato particolari dubbi. Per non parlare poi dei tentativi dell’Alleanza e di suoi singoli paesi-membri, in spregio al diritto internazionale, di raggiungere i propri obiettivi geopolitici strettamente di parte. Sarà sufficiente ricordare i bombardamenti della ex Jugoslavia, l’invasione dell’Iraq, l’aggressione alla Libia. Nelle attuali condizioni, la Russia, che ha la necessità di adeguarsi ai cambiamenti in corso nel continente provocati dalle azioni demolitrici della Nato, è costretta a prendere misure appropriate per rafforzare la propria capacità di difesa e la sicurezza nazionale. Sottolineo inoltre che tutto questo avviene all’interno del nostro territorio, a differenza di quanto fanno gli Stati Uniti e altri paesi che spostano truppe in stati confinanti con la Russia e svolgono provocatorie dimostrazioni militari presso i nostri confini. Siamo disponibili al dialogo a alla collaborazione con la Nato, ma solo ed esclusivamente su un piano di parità, com’è scritto nei documenti costitutivi del Consiglio Russia-Nato».

In Ucraina gli accordi di Minsk non vengono applicati. Di chi è la colpa?
«Purtroppo dobbiamo constatare che la situazione nel sud-est dell’Ucraina resta complessa, non c’è una guerra aperta, ma non c’è neanche la pace. È evidente che nessuno è interessato a congelare la situazione esistente. Partiamo dal “pacchetto di misure” approvato a Minsk nel febbraio del 2015: non esiste una soluzione alternativa. Proprio questa è la conclusione alla quale è arrivato il “quartetto di Normandia” nel summit tenutosi il 19 ottobre a Berlino. Tutti i suoi partecipanti, compreso il presidente ucraino Poroshenko, hanno dichiarato la volontà di attuare gli accordi raggiunti e hanno confermato la necessità di rispettare rigorosamente le disposizioni del “Pacchetto” di Minsk nella loro complessità e sequenza. Di recente abbiamo avuto una serie di contatti con i partner nel “formato Normandia”, tra l’altro anche una riunione dei ministri degli Esteri svoltasi a Minsk il 29 novembre, e abbiamo incontrato i nostri colleghi americani. Nell’ambito di questi colloqui abbiamo discusso delle prossime misure necessarie per trovare una soluzione praticabile della crisi in Ucraina. A questo fine è necessario prima di tutto che Kiev dimostri una precisa volontà politica; invece è proprio questa a mancare palesemente. La parte ucraina non ha nessuna fretta di agire nella logica degli accordi siglati; reinterpreta a proprio uso e consumo i risultati degli incontri “di Normandia” anche di quelli svoltisi al massimo livello. Tale prassi mina gli sforzi comuni fatti per la ricomposizione definitiva dei contrasti. Quanto prima le autorità di Kiev riconosceranno la necessità di rispettare i propri impegni derivanti da “Minsk-2” – innanzitutto sul versante politico: riconoscimento al Donbass di uno status speciale; elezioni locali; amnistia e riforma costituzionale - tanto più rapidamente potremo essere testimoni del completo rispetto del “pacchetto di misure”. Ricordo che stiamo parlando di valori europei “classici”: i cittadini devono avere il diritto all’autogestione locale, devono poter parlare e studiare nella propria lingua, vivere secondo le proprie usanze. La Russia è interessata a risolvere questo conflitto a ridosso dei propri confini più di chiunque altro. Noi vorremmo avere un vicino prevedibile e affidabile con il quale sviluppare una collaborazione pragmatica e paritaria in ogni campo».

Perché non rimuovete gli armamenti pesanti dalle zone orientali dell’Ucraina?
«Le affermazioni sulla presenza di armi pesanti russe nel sud-est dell’Ucraina di cui si chiede il ritiro sono del tutto fantascientifiche. La missione speciale di monitoraggio dell’OSCE e il gruppo OSCE ai checkpoint “Gukovo” e “Donetsk” sul confine russo-ucraino non hanno mai registrato in alcuno dei loro rapporti la presenza di truppe russe, né l’esistenza o la dislocazione di armi russe anche pesanti sul territorio delle regioni di Donetsk e Lugansk. Le parti in conflitto combattono con le armi rimaste in Ucraina al momento della dissoluzione dell’URSS. Kiev, poi, cerca di compensare le sue perdite con forniture di armi, anche letali, provenienti da paesi Nato. È evidente che il problema della presenza di armi nel Donbass cadrà da solo se verrà completamente attuato il “pacchetto di Misure” di Minsk, che comprende affidabili garanzie costituzionali alla popolazione del sud-est sotto forma di uno status speciale della regione».

L’Italia ha sempre sostenuto la necessità di tenere aperto il dialogo con la Russia, ma allo stesso tempo applica con rigore le sanzioni europee contro Mosca. Che effetti ha questo atteggiamento sui rapporti bilaterali fra i due paesi?
«Le sanzioni della Ue alle quali ha aderito l’Italia e le misure russe di risposta hanno avuto un impatto negativo sulla collaborazione economica e commerciale bilaterale. Oggi la situazione in questo campo rimane oltremodo complessa e tutti e due i paesi sono seriamente preoccupati. Un indicatore evidente è la riduzione significativa dello scambio commerciale che l’anno scorso ha registrato una flessione del 36,2% scendendo a 30,6 miliardi di dollari e che nei primi nove mesi dell’anno corrente è calato del 41,2% passando a 14,2 miliardi di dollari. Secondo dati di fonte italiana – l’agenzia per il credito all’esportazione SACE – le perdite dirette per l’economia italiana ammontano a 2,5-3 miliardi di dollari. È evidente che anche la parte russa si trova a sostenere alcuni costi. Però la politica di sostituzione delle importazioni con merci locali adottata dal nostro paese sta dando risultati tangibili. Nel complesso, l’economia russa è salda sulle sue gambe; si è adeguata alle restrizioni e al basso prezzo del petrolio. L’Italia oggi è il sesto partner commerciale della Russia, mentre per un lungo periodo è stata il quarto. È significativo il fatto che il quinto posto è ora occupato dagli USA. Washington, promotore di gran parte delle norme antirusse, non ne sopporta i costi. Su questo punto i nostri partner italiani e in generale quelli della UE hanno di che riflettere. Registriamo che gli ambienti politici, economici e sociali italiani esprimono sempre più attivamente la propria insoddisfazione per la politica delle sanzioni e sostengono un ritorno alla crescita delle relazioni bilaterali. Sappiamo che gli umori a favore dello sblocco dei rapporti economico-commerciali con la Russia sono molto diffusi anche nelle regioni italiane e che diverse di queste hanno approvato risoluzioni a favore della revoca delle sanzioni. Speriamo che Roma voglia costruire i suoi rapporti con Mosca a partire in primo luogo dai propri interessi. L’intera ricca storia delle relazioni italo-russe, basate su una pluriennale esperienza di fruttuosa collaborazione, è un esempio di come, con sforzi congiunti, siamo riusciti a ottenere risultati importanti. Il dialogo ai massimi livelli ha un valore significativo per la causa della fiducia e della comprensione reciproca tra i nostri stati. Nell’ambito dei negoziati del presidente Putin con il presidente del Consiglio Renzi in giugno a margine del XX Forum Economico internazionale di San Pietroburgo, sono state discusse le prospettive di una più dinamica cooperazione italo-russa nei settori più importanti. Nella riunione del 5 ottobre del Consiglio italo-russo per la cooperazione economica è stata delineata una road-map per il superamento della situazione esistente ed è stato posto l’accento sulla necessità di diversificare i legami economici, ricercare nuovi promettenti indirizzi, coinvolgere maggiormente le regioni e realizzare progetti congiunti orientati anche a mercati terzi. Io confido che i colloqui di domani con il mio collega Paolo Gentiloni possano dare un contributo ai comuni sforzi per lo sviluppo dinamico dei rapporti italo-russi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT