Milano, 2 luglio 2016 - 00:50

Austria, Hofer a caccia di rivincita:
«Se entra la Turchia, noi via dall'Ue»

Il leader del partito della Libertà austriaco che ha perso il ballottaggio alle ultime elezioni presidenziali, spiega come cambierà la sua campagna

Alexander Van der Bellen (a sinistra) e Norbert Hofer (destra) Alexander Van der Bellen (a sinistra) e Norbert Hofer (destra)
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Con lui presidente, la Turchia nell’Unione Europea, o con nuove modifiche dei trattati comunitari tese a ridurre ulteriormente le competenze degli Stati membri, l’Austria potrebbe salutare Bruxelles e compagnia. Atteggiamento deciso, volontà ferrea, ma il tutto avvolto in parole che puntano a infondere tranquillità. Norbert Hofer, leader del Freiheitliche Partei Österreichs, il partito austriaco della libertà, formazione ultranazionalista, ha vinto il suo ricorso. E può così ricominciare la rincorsa alla presidenza austriaca, che nel ballottaggio dello scorso 22 maggio aveva perso per soli 31 mila voti contro il verde Alexander Van der Bellen.

Herr Hofer, la sentenza della Corte costituzionale austriaca ha azzerato tutto. Si torna al ballottaggio. Come ha vissuto questa cosa?
«Questa decisione, per me, in realtà non arriva come una sorpresa, viste le clamorose irregolarità che sono state riscontrate nel conteggio dei voti. Non era compito della Corte costituzionale dimostrare una truffa effettiva, ma soltanto constatarne una tale possibilità».

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Per lei quindi ci sono stati dei brogli veri e propri? Con un presunto svolgimento regolare avrebbe vinto?
«Io dico solo che le irregolarità potrebbero aver in ogni caso condotto a delle manipolazioni: è proprio questo che il verdetto della Corte costituzionale afferma. Ogni cittadino austriaco deve essere certo che la sua voce sia tenuta in giusta considerazione. Io ritengo che denunciare un’infrazione delle regole sia innanzitutto un dovere democratico».

E ora che succede? Come cambierà la sua campana rispetto a quella precedente?
«Per me, per noi, non cambierà nulla. Come ho sempre detto, non fingerò di essere qualcun altro. Già dopo il primo turno delle scorse elezioni presidenziali, mi era stato domandato se la mia campagna, da quel momento in poi, sarebbe cambiata: una prospettiva che avevo negato decisamente. Ho un credo politico profondo, e ho anche alcuni punti fermi su diversi temi, come la passione per la democrazia diretta e l’avversione al TTIP (sigla inglese del Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, progetto di accordo commerciale liberoscambista tra Unione Europea e Stati Uniti i cui negoziati sono iniziati nel 2013, ndr), ma anche il problema della sicurezza interna. I recentissimi sviluppi in Europa, col voto sulla Brexit in Gran Bretagna e la definizione del CETA (sempre dall’inglese, Accordo economico e commerciale globale, siglato tra Ue e Canada e in attesa di essere ratificato da parlamento europeo e singoli Stati, ndr), diventeranno naturalmente anche dei temi della prossima campagna elettorale».

A proposito di Brexit, democrazia diretta e volontà popolare: cosa pensa che dovrebbe fare adesso la Gran Bretagna? Dovrebbe lasciare subito l’Ue?
«Sono un grandissimo sostenitore della democrazia diretta. La decisione appartiene a chi è sovrano, cioè al popolo, e va quindi rispettata. Gli uomini non sbagliano mai, perciò non bisogna avere paura di loro. Il governo britannico deve soltanto rispettare il voto della popolazione britannica, nient’altro».

Se in autunno diventasse presidente dell’Austria, proporrebbe un referendum per un’uscita del suo Paese dall’Unione Europea, per una «Austrexit»?
«Qualora la Turchia dovesse entrare nell’Unione Europea, ciò non sarebbe gestibile da parte dell’Europa, e ci sarebbe una ragione fondata per domandare alla popolazione austriaca la sua volontà sulla permanenza o meno in un simile contesto. Il caso della Gran Bretagna ha dimostrato che l’Unione Europea, questa Unione Europea, è palesemente lontana dalle persone. Per questo sono convinto che ci sia bisogno di un rinnovamento dell’Ue in un’unione che si ricordi dei suoi valori fondanti, rivolta più verso i cittadini. Un cambiamento dei trattati europei in direzione di un ulteriore riduzione delle competenze degli Stati membri, in Austria, porterebbe automaticamente a un referendum».

Qualora diventasse presidente, come affronterebbe la questione migranti? A proposito del Brennero, possiamo dire che gli ultimi rapporti tra Italia e Austria non sono stati proprio idilliaci?
«L’Austria è legata all’Italia da uno stretto rapporto di amicizia, e vorrei che queste buone relazioni fossero ulteriormente approfondite. Sulla questione migranti: l’Europa deve difendere i propri confini, in modo da non aver bisogno di costruire recinzioni lungo i confini interni tra li Stati membri. A mio giudizio, quello della difesa dei confini dell’Unione europea è un tema che deve essere gestito e finanziato insieme. Non dobbiamo lasciare soli gli Stati che si trovano ai bordi dell’area Schengen».

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